E l'ansiosə disse GASP!

di Anna Segre. Psicoterapeuta, medico, scrittrice.

Ecco, mi presento, elencando gli ingredienti necessari alla trattazione: sono una psicoterapeuta cognitivo comportamentale, medico, lettrice per bisogno di fuga, scrittrice per tormento indefinibile, poeta per arte marziale verbale. Tralascio: donna, lesbica, ebrea, mancina e femminista, perché così, di primo acchito, non mi sembrano essenziali, ma so già che potrebbero entrare nel novero delle scelte e dei criteri di selezione dei libri: è inutile negare la parte fuori fuoco, se poi condiziona i tuoi atti.

Per fare il mio lavoro (che per essere sintetica definirei: cura che si serve di una relazione umana per occuparsi di problematiche psichiche senza garanzia di guarigione), io faccio capo ad ogni cognizione possibile, medica, tecnica, letteraria, umana, personale.
La prescrizione, come concetto, si serve di due fattori principali, il primo, fondamentale, è l’autorevolezza agli occhi del paziente, e il secondo è la pertinenza della prescrizione. Naturalmente mi riferisco, in questo caso, alla prescrizione di libri, e, ancor più specificamente, libri di fumetto.

Sull’argomento ho scritto un libro: Il fumetto fa bene, edito da Comicout, nel quale ho fatto alcuni esempi collegando fumetti a specifiche situazioni psichiche o nevrosi o psicosi.
Forse più i fumetti dei libri, poiché l'immediatezza dell’immagine rende particolarmente efficace e rapido l’intervento.

Potrei dire che ti prescrivo Mazzucchelli per la tua ossessività, o Zerocalcare per le tue coazioni a ripetere, o Bedchel per la complessità della relazione con tuo padre, cioè, potrei muovermi grossolanamente tenendo conto della trama e dei temi trattati.
Ma potrei anche usare una singola immagine, una sola striscia di Calvin e Hobbes, una battuta di Lucy Van Pelt, una vignetta di super Pippo. L’importante è che io usi il tuo linguaggio tramite il linguaggio di un altro, cioè che io capisca quale testo è più vicino a come tu ragioni, alle tue ‘parole emotive’, al tuo modo di guardare il mondo e, servendomi della supposta conoscenza dei tuoi modelli operativi interni, scelga il verso, la frase, il disegno o la graphic novel per approfondire o chiarire o specificare o rivelare.

Faccio un esempio: il paziente oscilla da tutta la vita tra periodi maniacali e periodi depressivi, ha un disturbo bipolare. Quando è in fase maniacale, significa stato di eccitazione costante, senso di onnipotenza, acquisti sconsiderati, insonnia, aggressività, aumento di peso in una sorta di famelica vitalità, progetti impossibili, relazioni occasionali percepite come importantissime, investimenti di ogni tipo e concessione di disponibilità oltre la reale possibilità di tener fede agli impegni presi, parla molto più di quanto ascolta e tende a considerare inutile la terapia e tanto più l’assunzione di farmaci. Quando è in fase depressiva: è tutto inutile, sono un fallito, non ce la faccio a fare nulla, nemmeno ad alzarmi dal letto, sento un grande dolore morale e una fatica di esistere indescrivibile, dimagrisce, chiede aiuto, assume i farmaci, è più permeabile al dialogo.
A questo paziente ho prescritto Marbles di Ellen Forney (Psycopop) e La mia ciclotimia ha la coda rossa di Lou Loubie (Comicout). Però non mi sono limitata a questo: l’abbiamo guardati insieme, alcune pagine che, secondo me, potevano spiegare bene i meccanismi, alcune pagine che, secondo lui, erano perfette rispetto alla sua percezione del disturbo. Cioè, è successo che i due libri sono entrati nel dialogo terapeutico, i disegni a metafora e le storie a epilogo non fallimentare, bensì con un percorso che può ispirare: lavorandoci, perfino le situazioni estreme si possono gestire.

Da allora, abbiamo il nostro paradigma grafico e narrativo e ci riferiamo alla vignetta o al momento della storia come ammiccando fra noi, perché solo noi sappiamo cosa abbiamo collegato a quella vignetta e a quel momento della storia: il libro è un territorio di incontro, confidenza e complicità terapeutica. E’ come quando ti riferisci a una canzone conosciuta da entrambi, basta un accenno, una nota.

Ho usato La mia cosa preferita sono i mostri di Emil Ferris (Bao), più volte, perché è un lavoro leggibile a vari livelli, sia narrativo (storia di un’adolescente borderline, di sua madre senza marito, di suo fratello sciupafemmine tatuato e tatuatore, della vicina di casa abusata, del mondo intorno variamente minaccioso e sconosciuto); sia grafico (è realizzato come un quaderno di schizzi e appunti di un’adolescente); sia figurativo (ci sono disegni eccezionali, a volte anche a tutta pagina la cui forza li fa quasi uscire dal foglio). E io l’ho utilizzati tutti e tre, con una ragazza con disturbo borderline che riteneva di non scrivere nulla di interessante, con una decoratrice che aveva cambiato lavoro e voleva ricominciare a disegnare, con una paziente depressa che voleva imparare a tatuare.

Il contenuto, quindi, non sempre è al centro dell’attenzione, piuttosto possono esserlo piccoli particolari significativi, come per esempio, in questo caso, il tipo di penna usato, che sembra Bic e che è proprio lo stesso usato da un’altra paziente, anche lei borderline, guarda caso anche lei figlia di una madre sola, appena entrata all’università, che scarabocchia disegna e scrive su un quaderno analogo, figure e pensieri. Ed è per questo particolare, perché sembra disegnato con la penna Bic, proprio come fa lei, che la paziente lo leggerà.

Ho usato Special exits di Joyce Farmer (Eris) e Cambiamo argomento, per favore? di Roz Chast (Lizard Rizzoli) entrambi sulla difficoltà etica e affettiva di prendersi cura di genitori anziani e in difficoltà, ogni volta che ho capito la vergogna di ammettere l’insofferenza rispetto a situazioni analoghe e il bisogno di accusare, appunto, i genitori, di qualcosa, incuria, distrazione, resistenza alla cura, testardaggine, ingratitudine.
L’ho usati per l’argomento in generale e alcune scene in particolare, che spesso erano proprio le stesse patite dalla figlia/paziente. E poi anche il fatto che le due graphic novel siano scritte e disegnate da donne è un altro punto di riflessione: non è un caso che la cura dei genitori anziani sia imparagonabilmente più spesso affidata alle figlie femmine piuttosto che ai figli maschi.

Ho usato Fidati di me, di Lou Loubie (Comicout), che, ancora una volta, ci viene in soccorso con metafore forti e perfettamente calzanti per rappresentare la difficoltà psichica. In questo caso, essere prigionieri di emozioni che impediscono la realizzazione di sé, l’irrisolto che, a loop, ti tiene nel suo cerchio, isolandoti e impedendoti l’evoluzione di te e una vita di relazione e affettiva. L’ho prescritto, come prescriverei un ansiolitico, ed effettivamente si è intrecciato al problem solving e alla riflessione durante il dialogo in terapia in termini di ridimensionamento e aggiunta di nuovi punti di osservazione.

Ho usato la Bedchel con le giovani pazienti lesbiche: Dykes (Bur), esistono comunità di donne e, sdrammatizziamo: si ride assai!
Ma anche quando si trattava di guardare con occhi diversi il grande potere affettivo della madre, Sei tu mia madre? (Rizzoli), perché la Bedchel è davvero una fonte autorevole di rappresentazione della complessità e dell’ossessività…

Insomma, lo confesso: prescrivo fumetti con la stessa faccia e la stessa penna di quando compilo una ricetta, anche perché, va specificato, funziona come un farmaco. Bisogna saperli maneggiare, ma l’efficacia è innegabile e io mi attacco a tutto, nella relazione terapeutica come nella vita, forse perché temo il paraocchi dei protocolli, forse per un’intrinseca ansia di inadeguatezza, forse perché mi entusiasmo e godo, quando leggo la pertinenza e tendo alla condivisione, come dovesse far lo stesso effetto a tutti (non sempre funziona, proprio come i farmaci).
Ma tant’è. Questa è la mia esperienza di lettrice, scrittrice, paziente e terapeuta.