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Che tipo di immagini lascerà questa pandemia? O meglio che tipo di immagini sta producendo?
La prima risposta è facile, le mascherine. La seconda pure, le file. La terza anche, sbirri che fanno cose. La quarta, personale medico e infermieristico. Sono loro che portano i segni. E poi i balconi, le strade vuote dove c’è qualcosa di già visto, e di cinematografico. Da quei film non abbiamo imparato nulla, per fortuna. I dolly hanno iniziato e i droni hanno continuato. E poi mappe e grafici. E immagini elaborate del virus che è il grande assente. Il grande nemico assente. Come quando durante la guerra del golfo si vedevano solo le tracce dei missili ma nascondevano le vittime.
Non ci possono essere i corpi colpiti come durante l’AIDS perché non ci possono essere corpi da esporre in una malattia. Quelli riguardavano una categoria di persone (poi è venuto fuori che a rischio non erano le persone ma i comportamenti). Questa malattia riguarda tutte e tutti (gli uomini sembrano essere più colpiti sì ma le donne sono quelle che hanno il carico maggiore. Altre soggettività non pervenute). Dell’Ebola ricordiamo forse solo qualche immagina sbiadita perché anche lì, era in Africa e non ci riguardava.
La trama del mondo che le immagini riportano si è per forza di cose impoverita. Come si può raccontare la realtà (su come si fa giornalismo d’inchiesta tempi ne abbiamo parlato con Cecilia Ferrara e Andrea Coccia qualche giorno fa). Come si documenta fotograficamente una pandemia?
La narrazione attraverso le immagini si è fermata. Il virus è così contagioso che fotografi e fotografe non possono più essere più soggetti presenti e testimoni. E allora si va di immagini d’archivio, dove le forza d’ordine sono forze dell’ordine generiche, perché appunto d’archivio. Forze dell’ordine archetipiche. Spersonalizzandole con la sineddoche, dove un poliziotto vale per tutti, si toglie loro anche qualsiasi tipo di responsabilità individuale. Rimane l’uniforme, ma perché la chiave di ricerca negli archivi di stock. Quel che resta è la funzione ma senza la persona.
Al contrario le facce di alcuni dei responsabili istituzionali sono sempre presenti, Fontana, Gallera, De Luca, Conte. Per loro nessuna figura retorica visiva ma altre figure retoriche di rappresentanza politica (comunque insieme appaiono sempre meno di quanto apparisse Salvini fino a qualche mese fa).
Fuori dai media mainstream il punto di vista è tutto in soggettiva, è presente e situato nell’obiettivo delle fotocamere casalinghe. Scomparsi i piani lunghi, abbiamo mezzi busti, primi piani, di persone o alimenti. Figura sfondo, la cornice isola la figura. Siamo delle fototessere con degli auricolari e delle opinioni. Siamo come in Blair Witch Project però a casa e senza correre (anche per altri motivi). I droni filmano in HD, il resto è tutto lo-fi.
Prepariamoci perché arriverà un momento in cui la macchina delle immagini statunitense inizierà a elaborare la pandemia non ne potremo più, un po’ come hanno monopolizzato l’immaginario e la geopolitica dopo l’11 settembre. E arriverà un altro momento, sicuramente peggiore, in cui la povertà la vedremo con i nostri occhi. Quella sarà la Fase 2, quando la realtà irromperà bramosa attraverso le nostre retine (senza dimenticarci che esisteranno degli odori post pandemia).